T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. I, 17 maggio 2024, n. 429 – Pres. Gabbricci, Est. Buzano
I “diritto di uso pubblico”, non assimilabili alle servitù prediali (mancando un rapporto tra fondi), hanno base giuridica nell’art. 825 c.c. In particolare, essi consistono in un peso a carico di un bene immobile per consentire un’attività a beneficio di una collettività di persone (uti cives), attività volta a soddisfare un’esigenza di carattere generale e diretta a realizzare un fine di pubblico interesse (passaggio o altro). Al “peso” sul bene corrisponde, quindi, un diritto di uso pubblico, il cui contenuto non è predeterminato, dovendo unicamente essere idoneo a soddisfare un interesse pubblico attraverso il suo esercizio da parte di una collettività indistinta di persone. Il diritto in questione non incide sulla titolarità del diritto di proprietà, che rimane in capo al privato, ma limita le facoltà del proprietario in vista della realizzazione dell’interesse generale consistente nel parziale utilizzo da parte della collettività di riferimento. La proprietà privata viene, per tale via, funzionalizzata al pubblico interesse mediante l’istituzione su di essa di un diritto parziario, qualificato ex lege come demaniale”. In base ai suesposti principi, il diritto di servitù di uso pubblico, a differenza della servitù prediale gravante su una proprietà privata a vantaggio di un bene immobile demaniale, può essere fatto valere non solo dall’ente territoriale titolare del diritto, ma anche singolarmente da ciascun appartenente alla collettività. Ed infatti, la legittimazione ad agire o a resistere in giudizio a tutela di una servitù di uso pubblico, la quale è caratterizzata dall'utilizzazione, da parte di una collettività indeterminata di persone, di un bene idoneo al soddisfacimento di un interesse collettivo, spetta non soltanto all'ente territoriale - normalmente il Comune - che rappresenta la collettività, ma anche a ciascun cittadino appartenente alla collettività "uti singulus".
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